Andare fuori dalla mia testa, andare fuori dalla testa di tutti quanti, dentro ciò che non è mente, non è cose. Qualcuno le chiama "seghe mentali", io le chiamo semplicemente "confini", "frontiere", "muri", "limes"; e c'è della semplicità nel mio voler andare, anche se "semplicità" è troppo complessa come idea, diciamo "elementarità", ma ancora più sotto "elementalità", e ancora più sotto ancora "essenzialità", e vuoi vedere che scavando ancora e ancora ci troviamo a non aver più bisogno di parlare? Per questo rimaniamo qua. Partiamo da questo livello, da questa espressione sbrigativa che a me non piace: "seghe mentali". Al contrario dei riguardi che ho per il mio corpo, io non ho un forte istinto di autoconservazione dei miei pensieri, della mia mente: mi trovo sempre a pensare a cose da cui non si esce per allenarmi ad uscirne, e ci riesco; e nel momento in cui davanti alla mia pratica tu ti annoi od hai paura che qualcuno ti obblighi a seguire questa o un'altra via pronunci la formula "seghe mentali". Ho bisogno di dire certe cose a voce alta e registrata, non per esigenza di conferme o per insegnare agli altri cose che io imparo, non per condividere visioni od intavolar dibattiti, ma solo per far si che ciò che penso prenda corpo: niente altro.