Non è necessario che tu mi ascolti,
non è importante che tu senta le mie parole,
no, non è importante, ma io ti scrivo lo stesso
(eppure sapessi com’è strano, per me, scriverti di nuovo,
com’è bizzarro rivivere un addio…)
Ciao, sono io che entro nel tuo silenzio.
Che vuoi che sia se non potrai vedere
come qui ritorna primavera, mentre un uccello scuro
ricomincia a frequentare questi rami,
proprio quando il vento riappare tra i lampioni
sotto i quali passavi in solitudine.
Torna anche il giorno e con lui il silenzio del tuo amore.
Io sono qui, ancora a passare le ore
in quel luogo chiaro che ti vide amare e soffrire…
Difendo in me il ricordo del tuo volto
così inquietamente vinto;
so bene quanto questo ti sia indifferente,
e non per cattiveria, bensì solo per la tenerezza
della tua solitudine, della tua coriacea fermezza,
per il tuo imbarazzo, per quella tua silenziosa gioventù che non perdona.
Tutto quello che valichi e rimuovi,
tutto quello che lambisci e poi nascondi,
tutto quello che è stato e ancora è,
tutto quello che cancellerai in un colpo di sera,
di mattina, d’inverno, d’estate o a primavera
o sugli spenti prati autunnali - tutto resterà sempre con me.
Io accolgo il tuo regalo, il tuo mai spedito, leggero regalo,
un semplice peccato rimosso che permette
però alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi,
sull’amicizia che hai voluto concedermi
e che ti restituisco affinché tu non abbia a perderti.
Arrivederci, o magari addio.
Lìbrati, impossèssati del cielo con le ali del silenzio
oppure conquista, con il vascello dell’oblio,
il vasto mare della dimenticanza.