Tutto, tutto, tutto, tutto, tutto, tutto, tutto, tutto è politica. Tutto è politica. No, no, no. No, facciamo ordine: il tutto è il tutto, e la politica di certo un sottoinsieme del tutto, è una frase che diffusa può darti la malsana idea che le strutture che l'essere umano crea siano eterne ed onnicomprensive, e che solo l'atto di votare o di schierarsi può darti le possibilità di cui hai bisogno. Ma se ci sono due parole diverse, ci sono anche ordini di idee diversi ad esse connesse. Le parole troppo ripetute, sezionate, masticate smettono la loro funzione e il loro colore diventando sciape: rimane solo il nome e le paure di cercare parole nuove e forme di comunicazione che non consistano in parole, si potrebbero impiegare delle forme senza comunicazione, dei vuoti che pieghino il tempo per qualche anno, qualche secondo lasciando la comunicazione in secondo piano. Come dilatare quegli attimi in cui si pensa a niente o deconcentrarsi sui vuoti di memoria, è più facile trovare ciò che già è stato cercato, ma non sempre è ciò che serve. Se qualcosa non è ancora stata trovata è ugualmente stupido credere che non esista o credere che esista. Un motore di ricerca funziona male solo nel suo titolo, se dicessimo motore di credenza capiremmo meglio quel meccanismo che ci porta a verificare informazioni incomplete: quando non si è sicuri di, non si crede a; o si deve risolvere una controversia o si vuole conferma sull'oggettività. Verificare in rete non assicura nulla, come del resto non assicura nulla nemmeno toccare la realtà, ma credo sia solo dovuto al fatto che è necessario chiamare la realtà con un nome per avere la certezza matematica - anzi, linguistica - che la realtà esista.
E quanto detto si può applicare anche alla musica con la postilla che anche divider la musica dal rumore, dalle arti visive, dalla cucina e dal lanciare sassi dentro il lago è comunque un modo di dividere ciò che è sempre stato unico, e va bene, e va bene, va bene: che si divida, ma che l'interezza faccia da attrattore gravitazionale, da guida, si può decidere da cosa farsi attrarre? Eh… forse no, o forse ancora no. So che oggi si può essere pagati per fare cose sempre più specifiche e particolari, e che l'idea che esista il lavoro cambia con l'idea che si matura o deteriora, ed è proprio in virtù di questo che io posso decidere di non considerar lavoro ciò che faccio con i dischi o quando suono. È una questione di formalità: preferisco dare un nome che già in partenza non implichi limitazioni rigide ma elastiche alla mia attività, capito? Sto ammettendo che i limiti esistono, però hanno la consistenza che gli si vuole dare, se non si può decidere cosa, almeno si può intervenir sul come.