Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gl’altri sognan sé stessi e tu sogni di loro.
E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz’ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria;
e dopo ‹maiale›, ‹Majakóvskij›, ‹malfatto›,
continuarono gl’altri fino a leggermi ‹matto›.
E senza sapere a chi dovessi la vita,
in un manicomio io l’ho restituita;
qui sulla collina dormo malvolentieri,
eppure c’è luce ormai nei miei pensieri;
qui nella penombra ora invento parole,
ma rimpiango una luce, la luce del sole.
Le mie ossa regalano ancora alla vita,
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina,
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
‟Una morte pietosa lo strappò alla pazzia”.