Lo chiamavano «il frate», il nome di tutta una vita,
segno di una fede perduta, di una vocazione finita.
Lo vedevi arrivare vestito di stracci e stranezza,
mentre la malizia dei bimbi rideva della sua saggezza…
Dopo un bicchiere di vino, con frasi un po’ ironiche e amare,
parlava in tedesco e in latino, parlava di Dio e Schopenhauer.
E parlava, parlava, con me che lo stavo a sentire
mentre la sera d’estate non voleva morire…
Viveva di tutto e di niente, di vino che muove i ricordi,
di carità della gente, di dei e filosofi sordi…
Chiacchiere d’un ubriaco con salti di tempo e di spazio,
storie di sbornie e di amori che non capivano Orazio…
E quelle sere d’estate sapevan di vino e di scienza,
con me che lo stavo a sentire con colta benevolenza.
Ma non ho ancora capito mentre lo stavo a ascoltare
chi fosse a prendere in giro, chi dei due fosse a imparare…
Ma non ho ancora capito, fra risa per donne e per Dio,
se fosse lui il disperato o il disperato son io…
Ma non ho ancora capito con la mia cultura fasulla
chi avesse capito la vita, chi non capisse ancor nulla…