Il dolore non è affatto un privilegio,
un segno di nobiltà,
un ricordo di Dio.
Il dolore è una cosa bestiale e feroce,
banale e gratuita,
naturale come l’aria.
È impalpabile,
sfugge a ogni presa
e a ogni lotta; vive nel tempo,
è la stessa cosa che il tempo;
se ha dei sussulti e degli urli,
li ha soltanto per lasciar
meglio indifeso chi soffre,
negli istanti che seguiranno,
nei lunghi istanti in cui
si riassapora lo strazio passato
e si aspetta il successivo.
Questi sussulti non sono
il dolore propriamente detto,
sono istanti di vitalità
inventati dai nervi
per far sentire la durata del dolore vero,
la durata tediosa, esasperante,
infinita del tempo-dolore.
Chi soffre è sempre in stato d’attesa
- attesa del sussulto e attesa del nuovo sussulto.
Viene il momento che si grida senza necessità,
pur di rompere la corrente del tempo,
pur di sentire che accade qualcosa,
che la durata eterna del dolore bestiale
si è un istante interrotta-
sia pure per intensificarsi.
Qualche volta viene
il sospetto che la morte - l’inferno -
consisterà ancora del fluire
di un dolore senza sussulti,
senza voce, senza istanti,
tutto tempo e tutto eternità,
incessante come il fluire del sangue
in un corpo che non morirà più.