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«A Peppì, iuh, come sei stanco, Peppì, iih-ah, bello, auh.»
Cavallo, cavallo cieco della miniera
che tiri, tiri cento carrelli pieni di carboni
e inginocchioni tu te ne vai.
«Ah bello, ah, ih-uh.»
Cavallo, cavallo cieco della miniera,
non vedi niente, conosci tutto,
passo passo, passano gli anni.
Quando sei vecchio, torni al sole,
a quel sole che non vedi più.
E, sali, sali, sali, sali
cento metri, mille metri, verso il sole.
Un mare di luce, l’odore dell’erba,
e ti ricordi di quando eri forte,
e galoppavi, galoppa, galoppa,
galoppa, galoppa, galoppa, galoppa,
galoppa, galoppa, galoppa, galoppa,
galoppa, galoppa, galoppa, galoppa,
galoppa…
Aah-aah-aah.
Cavallo, cavallo cieco della miniera,
ora sei vecchio, vecchio e malato,
abbandonato, cerchi la mano dell’uomo.
«Peppì, come sei vecchio, Peppì, troppo vecchio.»
E senti una cosa accostata a un orecchio,
una cosa fredda dentro una mano, una mano che trema,
e senti ‹MBAM!›.
L’uomo di guarda e ti accarezza,
ma tu non senti,
tu galoppi, galoppi, galoppi, galoppi,
galoppi, galoppi, galoppi, galoppi,
galoppi, galoppi, galoppi, galoppi…
1. «È una canzone che parla di un cavallo, appunto si intitola ‟Cavallo cieco della miniera”. La storia è questa, la storia riguarda i cavalli che lavoravano anticamente nelle miniere in Sicilia, nelle miniere di zolfo, perché, in quei tempi, tiravano i carrelli i cavalli. Oggi è diverso, ci sono altri mezzi. E siccome stavano molto tempo sotto le miniere, i cavalli diventavano ciechi. E in Sicilia, anticamente, c’era questa festa tragica, che si chiamava appunto ‟La Pasqua dei cavalli”, ed era il padrone stesso del cavallo che lo portava su, al sole, e con un gesto tragico e pietoso lo eliminava.»
https://it.wikipedia.org/wiki/Zolfo_di_Sicilia