(A SCALDARCI AL VINO DOLCE DEI CHILOMETRI)
Ma un mattino, come obbedendo a una musica strana
Cominciammo a pensare al profumo di una terra lontana
Pieni d'illusioni, finalmente andavamo via
A scaldarci al vino dolce dei chilometri, su ogni ferrovia
(DAL FINESTRINO DEL TRENO)
Dal finestrino del treno scivolavano via città, paesi e monti
Volti cari passavano davanti e ora facevo mille confronti
Legami affettuosi, tenuti a mente come piccoli sortilegi
Ora niente, in un passato senza difetti e senza pregi
Parole di ragazzi, conosciuti una sola notte, dentro una stazione
Quando, il mattino dopo, il loro treno andava in un'altra direzione
Dal finestrino del treno ora decifravo la mia vita
Ad ogni galleria m’aggrappavo al vetro con le dita
Andavamo attraverso scompartimenti devastati
Inciampando sopra bagagli ormai dimenticati
Alberi, gelati dalla neve, scorrevano via dal finestrino
Poi qualcosa di tenero e caldo mi venne vicino
Qualcuno che mi toccava con la mano per capire chi ero
La luna per un attimo illuminò un sorriso talmente vero
D'una creatura che abbracciai, obbedendo a un impulso così dolce
Mentre qualcuno diceva: "Sentite come ogni musica si distorce!"
Lei prese le mie mani e se le portò alle guance, adagio
La sensazione di quel calore mi addolcì il cuore come uno strano contagio
Mentre intorno a noi tutto rallentava nel buio di quel vagone
E io capivo che finalmente entravamo in un'altra costellazione
Infatti scendemmo, all'improvviso, sopra uno strano altipiano
Un paese circondato da quattro precipizi, un posto fuori mano
Dove la gente, intorpidita dal caldo, aspettava quieta la sera
Per iniziare i giochi floreali di maggio, le danze alla primavera
Quell'aria densa, tutt'intorno, di campagna e di vendemmia
Quel disordine festante che rendevano l'ordine una bestemmia
E mentre i trattori trasportavano il carro dei re Magi
Guidati da una stella che luccicava, gonfia di dolci presagi
Io già correvo frenetico a corteggiare le ragazze dei dintorni
Immersi in un'atmosfera in cui ogni divieto perdeva i suoi contorni
Eccomi lì a condurle, con qualche ingenuo inganno, in un prato o in un fienile
Oppure a parlare fino all'alba sulla pietra gelida di qualche cortile
Mentre fisarmoniche scordate, sassofoni impazziti, cominciavano a darsi da fare
Per radunare la gente, dopo cena, in qualche piazza ad ascoltare
I rumori delle cucine, le risate, le fontane o le cicale
Dentro una notte così bella, in cui il ricordo del giorno faceva solo male
(LA FERROVIA CELESTE)
Siamo giunti in uno strano paese...
Io ti porterò giù, più giù, più giù
Dove faremo progetti folli e incredibili, ma così belli
Da restituire dignità ai nostri nervi e abbattere quei cancelli
Cresciuti durante gli anni dell’obbedienza
Quando credevamo che sapere fosse abbastanza
Che il solo rifiuto bastasse per far parte dei puri
Mentre i cancelli di un tempo diventavano muri
Io ti porterò giù, più giù, più giù
Dove la scelta di esser veramente liberi ci renderà così diversi!
Incomprensibili agli altri, perfino ai più cari amici
Quelli che parlavano di ritrovarsi ma che ora ci vedono felici
Alla ricerca delle nostre parti mancanti, di un segno
Dei nostri gesti importanti, scontati o risaputi
Noi che non abbiamo più ritegno
Forti dei giochi appena riavuti
Io ti porterò giù, più giù, più giù
Dove scoprirò ed accetterò i miei bisogni
E te li verrò a dire
I miei bisogni ridicoli o sconvolgenti
T’amerò e te lo farò capire
Con tutti i mezzi impossibili
Tutte le parole impronunciabili
Con tutte le carezze più imbarazzanti
Per farti far le tenerezze
Quando hai pudore nel farti avanti
Appena i gesti rifiuteranno le parole
E le nostre immaginazioni avranno finalmente
Un valore